L’Italia ha pochi laureati rispetto agli altri Paesi europei, per giunta costretti a cercare lavoro all’estero. Nel 2017 quasi 28.000, +4% rispetto all’anno precedente. In cinque anni persi complessivamente oltre 156 mila tra laureati e diplomati
Da ansa.it
Sono in aumento i laureati italiani che si trasferiscono all’estero, nel 2017 sono quasi 28 mila, +4% rispetto al 2016. Lo fa sapere l’Istat in un report sulla mobilità interna e le migrazioni internazionali della popolazione residente. Negli ultimi cinque anni, i deflussi netti di persone di 25 anni e più dovuti agli espatri sono pari a oltre 244 mila, di cui il 64% con titolo di studio medio-alto. In forte aumento tra 2013 e 2017 il numero di emigrati diplomati (+32,9%) e laureati (41,8%).
Dai dati dell’Istat emerge che in cinque anni l’Italia ha perso complessivamente oltre 156 mila tra laureati e diplomati. Nel 2017, più della metà dei cittadini italiani che si trasferiscono all’estero (52,6%) è in possesso di un titolo di studio medio-alto: si tratta di circa 33 mila diplomati e 28 mila laureati. Rispetto all’anno precedente il numero di diplomati emigrati è sostanzialmente stabile, mentre quello dei laureati mostra un lieve aumento (+3,9%). Tuttavia l’aumento è molto più consistente se si amplia lo spettro temporale: rispetto al 2013, gli emigrati diplomati aumentano del 32,9% e i laureati del 41,8%.
Considerando l’età, gli espatriati di 25 anni e più sono 82 mila e 31 mila quelli rimpatriati nella stessa fascia di età: il loro saldo migratorio con l’estero è negativo per oltre 51 mila unità, di cui 13 mila laureati (26,2%) e 19 mila diplomati (36,7%). I saldi migratori cumulati dal 2013 al 2017, calcolati per gli emigrati ultra 24enni, evidenziano una perdita netta di popolazione italiana di quella fascia di età di circa 244 mila unità, di cui il 64% possiede un titolo di studio medio-alto.
Le motivazioni che spingono i giovani migranti a lasciare l’Italia – spiega l’Istat – sono da attribuire in parte all’andamento negativo del mercato del lavoro italiano e, in parte, alla nuova ottica di globalizzazione, che induce i giovani più qualificati a investire il proprio talento nei Paesi esteri in cui sono maggiori le opportunità di carriera e di retribuzione.