L’Italia vive la seconda ondata di coronavirus, che potrebbe aver raggiunto finalmente la fase clou. Questo è auspicabile se non vogliamo che il sistema sanitario finisca definitivamente al collasso, in virtù del numero ormai insostenibile di ospedalizzazioni e soprattutto per la saturazione dei posti di terapia intensiva.
Ora il contagio appare distribuito più o meno uniformemente su tutto il territorio nazionale, rispetto alla prima esplosione della pandemia. Non ci sono zone risparmiate, a differenza della primavera quando la pandemia aveva colpito molto più il Nord Italia. Il resto d’Italia sarebbe stato salvato dal lockdown.
Quale è ondata è stata più virulenta e contagiosa? Non è facile da stabilire. Rispetto a marzo, quando non si conosceva il virus, si fanno molti più tamponi e quindi il confronto sul numero di contagi non può essere un elemento che aiuta a poter apprezzare analogie e differenze fra le due ondate.
A marzo la pandemia ci ha colto impreparati e nemmeno gli scienziati erano a conoscenza delle caratteristiche del virus, con la prevalente presenza di soggetti colpiti in modo asintomatico ma che possono egualmente trasmettere il virus aiutando così la diffusione del contagio.
Il confronto delle due ondate Covid-19 in Lombardia
La Lombardia è la regione in assoluto più colpita sia nella prima ondata della primavera 2020 che in quella ancora in corso di quest’autunno. Questa è un’analogia, ma ci sono però delle grandi differenze, con le dinamiche del contagio in questa regione che sono estremamente utili per un’analisi compiuta.
Per capirne di più, il dipartimento di Salute pubblica dell’Istituto di ricerche Mario Negri di Milano ha elaborato due mappe di confronto fra le due epidemie, che prendono come riferimento l’incidenza dei casi di Covid-19 stimata sulla popolazione residente.
Sono stati presi come raffronto due periodi di uguale durata: il primo è relativo all’intervallo 22 febbraio-16 aprile 2020, mentre il secondo fotografa la fase iniziate dell’ondata in corso (primo settembre-25 ottobre). L’incidenza è calcolata su quante persone risultano colpite ogni 100 mila abitanti.
Milano e ovest Lombardia al centro dell’epidemia
Il ribaltone è evidente. In questa seconda ondata è infatti Milano a soffrire di più l’assedio del virus. In primavera il capoluogo lombardo era invece stato quasi risparmiato. Non solo Milano, ma in generale tutta la Lombardia mostra un andamento prettamente speculare del virus fra la primavera e l’autunno.
Le zone più colpite in primavera sono quelle meno colpite ora e viceversa. Come si può spiegare questo? Una prima ipotesi fa riferimento alla cosiddetta immunità di comunità, che si sarebbe sviluppata nelle province più colpite in primavera del centro-est della Lombardia, tra Bergamo, Brescia e Lodi.
A sostegno di questa tesi, basti pensare che in alcuni comuni della Val Seriana tra il 40 e il 50% della popolazione ha sviluppato gli anticorpi contro il coronavirus, dopo l’ondata della primavera. Questo avrebbe reso la popolazione più protetta, aldilà della durata della presenza degli anticorpi.
La seconda ipotesi è che nelle zone colpite drammaticamente dalla prima ondata dell’epidemia, ci sia una maggiore sensibilità della popolazione ad evitare rischi. Tutti sappiamo come in estate la popolazione in generale abbia abbassato la guardia, ma ciò magari è avvenuto meno nelle zone più falcidiate in primavera.
L’andamento in Lombardia, colpita prima e colpita ora, spiega di certo tutta la forza del virus e invita a non abbassare la guardia. La popolazione al Centro-Sud resta molto più suscettibile, visto che da queste parti non ci sono zone dove si può essere sviluppata l’immunità di comunità ad attenuare la spinta del virus.
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