È una mostra davvero interessante e per certi versi originale quella ammirata in questi giorni a Palazzo Roverella di Rovigo. L’esposizione in questione, curata da Paolo Bolpagni, è dedicata a “Pierre-Auguste Renoir: l’alba di un nuovo classicismo” ed è visitabile fino al prossimo 25 giugno nelle sale dello splendido edificio di epoca rinascimentale che si affaccia sul cuore più antico del capoluogo polesano.
Il percorso espositivo mette a fuoco il momento successivo alla breve esperienza impressionista di Renoir (movimento di cui peraltro è stato uno dei massimi esponenti), quando l’artista, spinto da una profonda inquietudine creativa, decide di intraprendere, tra il 1881 ed il 1882, un viaggio in Italia.
Il tour lungo lo “Stivale” iniziò a Venezia – dove a colpirlo furono soprattutto Carpaccio e Tiepolo (mentre già conosceva bene Tiziano e Veronese, ammirati e studiati al Louvre) – e proseguì con brevi tappe a Padova e a Firenze e poi a Roma, una meta fondamentale per il suo percorso pittorico. Qui Renoir fu travolto dalla forza della luce mediterranea e sviluppò un’ammirazione per i maestri rinascimentali.
Un’ulteriore tappa del viaggio fu il golfo di Napoli dove il grande pittore francese scoprì le pitture pompeiane, fu rapito dalla bellezza dell’isola di Capri e quasi soggiogato dai capolavori antichi esposti nel museo archeologico.
Infine andò a Palermo, dove incontrò Richard Wagner e lo ritrasse in un’opera divenuta famosa (ma non si può dire che fra i due scoccò la scintilla: anzi, il compositore gli concedette soltanto quarantacinque minuti di posa).
Il viaggio in Italia portò ad una evoluzione creativa della sua arte
Il viaggio in Italia più che suscitare opere di particolare rilievo, comportò una sorta di rivoluzione creativa per l’artista, fu foriero di una una evoluzione della sua arte che culminerà, di fatto, nell’abbandono della tecnica e della poetica impressioniste. Infatti a seguito di quel viaggio, dalla luce di Venezia e del Mediterraneo, dalla lezione dei grandi maestri del passato (Carpaccio, Raffaello, Tiziano, Rubens, Tiepolo, Ingres) e dalle riflessioni sulla tecnica pittorica nacquero i germi di una sorta di nuova classicità.
Renoir arrivò così ad anticipare via via non pochi aspetti del “ritorno all’ordine” che sarebbe esploso verso la fine degli anni Dieci del Novecento in reazione alle avanguardie. Insomma, la fase matura e poi conclusiva della sua carriera, su cui s’incentra questa mostra, non fu affatto un periodo di decadenza, ma anzi si rivela quasi, con le opere pacate, sontuose e spesso monumentali che la connotano, un presagio di sviluppi successivi dell’arte.
Ebbene la mostra si concentra principalmente su questa parte della carriera di Renoir, a partire appunto dal ritorno dal viaggio in Italia sino alle opere della vecchiaia, evidenziando dapprima vicinanze e tangenze con Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi, Giovanni Boldini e Medardo Rosso, gli “italiens de Paris”, cioè gli artisti italiani attivi a Parigi, e poi ponendo in risalto l’originalità di una produzione che non fu affatto attardata, ma che costituì uno dei primi casi quella “moderna classicità” che sarebbe stata perseguita da numerosi artisti degli anni Venti e Trenta, in maniera speciale in Italia, come evidenziato dai confronti presenti nelle sale di Palazzo Roverella.
Nelle ultime fasi della preparazione della mostra c’è stato anche un colpo di scena: infatti pochi giorni prima dell’apertura al pubblico il 9 febbraio uno dei musei prestatori, che aveva concesso il bronzo della “Venus Victrix” di Renoir del 1916, ha annunciato di non poter più concedere l’opera. Il curatore e gli organizzatori non si sono però persi d’animo e sono riusciti ad ottenere, a tempi da primato, dalla Kunsthalle di Amburgo una scultura forse ancora più importante, ovvero la “Piccola Venere in piedi” del 1913, che della “Venus Victrix” costituisce il fondamentale precedente, e uno dei primi casi in cui Renoir si misurò con la scultura, aiutato dall’assistente Richard Guino, allievo di Maillol.
In mostra un totale di 83 opere
Nelle sale del Roverella sono esposte ben quarantasette opere di Renoir, provenienti da musei francesi, austriaci, svizzeri, italiani, tedeschi, danesi, olandesi e monegaschi tra cui la “Baigneuse s’arrangeant les cheveux” un capolavoro, datato 1890, di proprietà personale del principe Alberto di Monaco.
Il percorso espositivo prende avvio da uno dei quadri più significativi della stagione impressionista di Renoir, il grande studio preparatorio a olio su tela del celeberrimo Moulin de la Galette, per misurarne poi la deviazione via via sempre più netta da quel linguaggio. Non manca il fil rouge del racconto biografico delle vicende personali dell’artista, anche sulla falsariga della biografia che il figlio regista Jean dedicò al padre all’inizio degli anni Sessanta del Novecento (Pierre-Auguste Renoir, mon père).
Accanto alle opere di Renoir, sono esposte quelle di grandi maestri dell’arte del passato cui egli s’ispirò nella fase matura della sua carriera: Vittore Carpaccio, Tiziano, Romanino, Peter Paul Rubens, Giambattista Tiepolo, Jean-Auguste-Dominique Ingres, ma anche di suoi contemporanei come lo scultore Aristide Maillol oltre ai già citati Giovanni Boldini, Giuseppe De Nittis, Federico Zandomeneghi e Medardo Rosso.
Inoltre, a evidenziare possibili e spesso insospettabili confronti con artisti italiani di una o due generazioni successive, i dipinti di Armando Spadini, che Chirico definì “un Renoir dell’Italia”, di Filippo de Pisis, Arturo Tosi, Carlo Carrà, Enrico Paulucci, Bruno Saetti e Giorgio de Chirico. A queste si debbono aggiungere le sculture di Marino Marini, Arturo Martini, Antonietta Raphaël Mafai ed Eros Pellini. In totale ottantatré opere oltre all’edizione storica della traduzione francese del “Libro dell’Arte” di Cennino Cennini, con la prefazione di Renoir, unico suo testo pubblicato in vita.
Poi nell’ultima sala c’è un’autentica emozionante chicca, anche per i cinefili: come noto, il secondo figlio di Pierre-Auguste Renoir fu Jean Renoir, uno dei più grandi registi della storia. In un suo film del 1936, il raro “Una gita in campagna”, rese omaggio al padre quasi ricreando, nelle eleganti inquadrature, le scene e le atmosfere dei suoi dipinti. In mostra è possibile vedere, in versione restaurata, una quarantina di minuti de della versione originale del film, con sottotitoli in italiano.
Ulteriori info:
Renoir. L’alba di un nuovo classicismo
Rovigo, Palazzo Roverella
25 febbraio – 25 giugno 2023
Orari: Lunedì-venerdì 9 – 19; Sabato, Domenica, festivi 9 – 20
Sito web: www.palazzoroverella.com.