Una volta al giorno, per la mia famiglia, preparo la pastasciutta. Variamo spesso i formati e le marche per non venir a noia di questo alimento così buono e anche facile da preparare. Su tutte le confezioni i produttori riportano i tempi di cottura. Alcuni addirittura due tempi: quello per una cottura della pasta “classica” e un altro per la cottura “al dente”. Eppure io mi trovo spesso a dover aumentare anche di 10 o 15 minuti il tempo per ottenere una pasta al dente. Mi chiedo se vi sia una spiegazione o quale possa essere la causa. Salvo
Non è la prima lettera che solleva l’argomento della cottura della pasta. In molti hanno notato che, rispetto al passato, oggi la pasta difficilmente “passa” la cottura e sembra essere sempre al dente. Si tratta di una sensazione soggettiva di alcuni consumatori o qualcosa è realmente cambiato nel settore della pasta secca? I motivi alla base del fenomeno derivano dalla variazioni del sistema di essiccazione che spesso viene fatto ad alte temperature. Questa nuova procedura è iniziata negli anni ’70, quando una grossa azienda italiana decide di aumentare il calore nei tunnel di essiccazione fino a 80-85°C. In questo modo la pasta forma uno strato esterno “protettivo” che resiste meglio e mantiene bene la cottura, anche utilizzando un grano di qualità inferiore. L’altro vantaggio per le industrie è che in questo modo si riducono notevolmente i tempi di lavorazione, incrementando la produzione. Scoperto il trucco, molti pastifici si sono accodati e anche le temperature sono lievitate, tanto che oggi numerosi aziende di marche low cost, ma anche grandi firme, lavorano a temperature superiori ai 100°C, livelli che in passato non si potevano immaginare.
L’altro aspetto da considerare è che oggi si utilizza materia prima con un quantità più elevata di proteine, che favorisce la tenuta alla cottura. La maggior parte dei pastifici miscela grano duro nazionale con quello importato (la provenienza della farina è visibile in etichetta da luglio del 2017), perché la produzione italiana è largamente insufficiente per coprire il fabbisogno dell’industria. Il grano coltivato in Francia, Canada, Stati Uniti e Australia è più tenace e ricco di proteine e questo permette di ottenere una pasta che tiene meglio la cottura. Ci sono aziende che vantano in pubblicità un trattamento di essiccazione lenta e basse temperature in grado dei conferire alla pasta una sapore migliore e più rispettoso della tradizione dei mastri pastai.
E per finire un consiglio. Per capire a che punto è la cottura dello spaghetto, basta sezionarlo con un coltello e osservare la parte centrale, se si vede una riga bianca, chiamata animella, la pasta non è ancora cotta.
FONTE: IL FATTO ALIMENTARE https://ilfattoalimentare.it/cottura-della-pasta-spaghetti.html