Ha tutte le sembianze di un “blitz” l’emendamento della Lega al decreto crescita, approvato in nottata lunedì scorso in commissione alla Camera, per trasferire alle Regioni la titolarità e la gestione del Fondo sviluppo e coesione, il ricchissimo serbatoio di fondi nazionali che per l’80% è destinato al Mezzogiorno. L’emendamento, tra gli ultimissimi ad avere avuto il via libera delle commissioni Bilancio e Finanze della Camera, riguarda il prossimo periodo di programmazione (2021-2027) e aveva avuto il parere negativo del ministero del Sud, guidato dall’esponente del Movimento 5 Stelle Barbara Lezzi.
La ministra è subito intervenuta sul tema: «L’emendamento al Dl crescita che prevedrebbe di trasferire dal mio dicastero alle Regioni il Fondo sviluppo e coesione, per la programmazione 2021-2027, verrà totalmente corretto attraverso il suo stralcio. Questo emendamento, che aveva anche il parere contrario della Ragioneria dello Stato e che non verrà mai votato dai
parlamentari del Sud del M5S, ha rappresentato un atto di totale scorrettezza. Chiunque lo abbia presentato, Lega o non Lega, dovrà chiedere scusa e dare delle spiegazioni».
L’emendamento a sorpresa
Non è difficile capire i motivi del parere contrario. Di fatto viene sottratta al ministero, all’Agenzia per la coesione territoriale e al Dipartimento politiche di coesione che lavorano in stretto raccordo proprio con il dicastero, la “cassaforte” dei fondi per il Sud – che insieme ai fondi Ue custodiscono le risorse per le politiche di coesione -e la si trasferisce alle Regioni. Un’operazione che era stata sollecitata proprio dalla Conferenza delle Regioni e che secondo esponenti della Lega ha lo scopo di velocizzare le procedure di spesa che finora hanno mostrato performance pessime, come documentato anche dal Sole 24 Ore lo scorso 13 marzo (pagamenti inferiori al 2% del programmato per il 2014-2020).
L’impatto politico
Salvo un clamoroso ritorno in commissioni Bilancio e Finanze del decreto prima del voto di fiducia (il provvedimento è atteso per le prossime ore nell’Aula di Montecitorio) la modifica della gestione del Fondo rischia di avere strascichi politici. Il colpo d’acceleratore per migliorare la spesa sembra infatti non aver tenuto conto dei risvolti interni alla maggioranza di governo: da una regia M5S si passa a un presidio centro destra-Pd. Infatti il coordinamento strategico viene spostato da un ministero a guida 5 Stelle (o comunque da un soggetto che a questo in qualche modo fa riferimento) alle amministrazioni regionali, nessuna delle quali è “pentastellata”. Nel Mezzogiorno, che riceve l’80% delle risorse Fsc, cinque regioni sono a guida centro-destra (Forza Italia-Lega): Sardegna, Sicilia, Abruzzo, Basilicata e altre tre a guida centro-sinistra: Campania, Puglia, Calabria. Al Centro-Nord siamo 6 a 5 per il centro-destra (la Valle d’Aosta ha guida autonomista).
Nel dettaglio, l’emendamento all’articolo 44, a prima firma Silvana Comaroli, dispone che «per il ciclo di programmazione 2021-2027, le Amministrazioni regionali avranno in capo la titolarità e la gestione di tutte le risorse FSC destinate al territorio regionale». Quest’ultima specificazione, con riferimento alle risorse destinate al territorio regionale, al di là di differenti possibili interpretazioni, non dovrebbe cambiare in misura sostanziale la questione proprio perché l’Fsc mira a ridurre i divari regionali.
La quantificazione al momento non è nota, poiché dovrebbe essere la legge di bilancio che anticipa l’inizio della programmazione, quindi quella che sarà approvata il prossimo anno, a definire lo stanziamento. Ma si parla comunque di una cassaforte ricchissima. Per avere un ordine di grandezza, la programmazione attualmente in chiusura (2014-2020) conta in totale oltre 60 miliardi.
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