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Il quantitative easing, invece, appare in secondo piano. «Ha ancora un notevole margine», ha detto. Non è lo strumento di prima scelta, in questa fase. L’acquisto di titoli è stato lanciato, nel 2015, perché c’era un rischio forte di deflazione, a differenza di oggi. I tanti fattori di rischio sulla crescita che Draghi sottolinea – e che non sono tutti aggredibili con la politica monetaria – possono però abbassare ulteriormente le aspettative di inflazione e creare di nuovo una situazione “a rischio”.
Una politica fiscale prociclica
Molto più interessante è il riferimento alla politica fiscale. Non è la prima volta che Draghi richiama i paesi “con spazio fiscale” (tra i quali non c’è l’Italia) ad adottare politiche meno restrittive e più orientate agli investimenti pubblici che anche oggi, insieme alle riforme strutturali, sono stati invocati. La politica fiscali di alcuni Paesi, ed è facile capire che il riferimento è soprattutto alla Germania, è stata prociclica, quindi ha frenata prezzi tendenti al rallentamento. «Ha contrastato lo stimolo monetario», riducendone la portata e, se ne può dedurre, contenendo un’inflazione già bassa.
Più ambizione sul bilancio comune
Draghi non invita però alla generosità fiscale. Men che meno a essere flessibili con l’Italia: «Rispettare le regole fiscali europee manterrà la fiducia degli investitori verso paesi con alto debito, bassa crescita e poco spazio fiscale», ha detto, con una definizione che praticamente denota solo il nostro paese. La sua proposta è diversa: rilanciare il bilancio di Eurolandia. «Il lavoro su uno strumento comune di stabilizzazione fiscale di adeguate dimensioni e struttura dovrebbe andare avanti con una prospettiva più ampia a una rinnovata determinazione».
Successione senza scosse
Le aperture di oggi, preparate dalla riunione del 6 giugno, hanno anche un’altra conseguenza: chiunque sia il successore di Mario Draghi alla guida della Bce, non potrà fare un’inversione di marcia troppo brusca. In qualche modo l’attuale presidente ha proiettato il suo “stile” – per così dire – anche nel futuro. In conferenza stampa, Draghi aveva già sottolineato come le decisioni siano sempre collegiali; ed effettivamente la doppia guida, quella del capoeconomista per l’analisi della congiuntura e quella del presidente, non possono sicuramente superare un diverso orientamento della maggioranza del board. Gli annunci di oggi rafforzano l’idea che il passaggio di consegne, in ogni caso, non potrà essere brusco.
Le accuse di Trump
Il presidente Usa ha colto l’occasione per riaprire la controversia sull’euro/dollaro – calato in poco meno di un anno del 5,6% – a suo avviso troppo sbilanciato a favore della moneta comune; e ha accusato la Bce di manipolare il cambio. La risposta di Draghi è stata “da manuale”: «Abbiamo un mandato che è quello della stabilità dei prezzi e siamo determinati a usare tutti gli strumenti a nostra disposizione per rispettare il nostro mandato. Non abbiamo come obiettivo il tasso di cambio», ha detto. La politica monetaria delle due aree economiche, però, potrebbe a rafforzare la timida tendenza all’indebolimento dell’euro. Bastino due dati: le aspettative di inflazione in Eurolandia , misurate dall’inflation swap 5 anni a 5 anni – quindi per il periodo 2024-2029 – puntano all’1,2-1,3%, quelle negli Usa all’1,9%. In entrambi i casi l’obiettivo è del 2%. L’Uem ha quindi bisogno di uno stimolo monetario maggiore degli Stati Uniti, e il cambio, molto probabilmente, ne risentirà.