(di Valentina Maresca)
Da eroe in quanto salvatore di centinaia di vite durante il genocidio in Ruanda a finanziatore di estremisti condannato a 25 anni di carcere per “terrorismo”: è la parabola discendente di Paul Rusesabagina, lo ‘Schindler africano’ da febbraio sotto processo nella capitale ruandese Kigali, boicottato dal 67enne a marzo “per scorrettezza e mancanza di indipendenza”.
Dissidente politico, Rusesabagina è stato condannato oggi per aver sostenuto il Fronte di liberazione nazionale (Fln), l’ala armata del Movimento ruandese per il cambiamento democratico – coalizione dei partiti di opposizione – responsabile di attacchi dall’esito mortale sferrati nel Paese nel 2018 e 2019. Secondo la sentenza, l’imputato “ha fondato un’organizzazione terroristica che ha attaccato il Ruanda e ha contribuito finanziariamente alle attività terroristiche”. L’accusa aveva chiesto l’ergastolo, ma la riduzione a 25 anni di carcere è stata motivata con lo status di incensurato di Rusesabagina, che con i suoi avvocati non era presente in aula e ci si aspetta ricorrerà in appello.
Intanto si schierano dalla sua parte sostenitori e familiari, che definiscono le accuse politicamente motivate dopo le critiche mosse dall’uomo al presidente del Ruanda, Paul Kagame, definito “dittatore” e denunciato con la forza della fama internazionale guadagnata dallo ‘Schindler africano’ anche grazie al film hollywoodiano ‘Hotel Ruanda’. Hutu moderato, Rusesabagina nel 1994 salvò infatti oltre mille persone durante il genocidio di cento giorni in cui ne furono uccise circa 800 mila, prevalentemente di etnia Tutsi. Il governo dell’attuale presidente, Paul Kagame, ha visto Rusesabagina nella posizione di fiero oppositore ormai in esilio, ma protagonista di denunce contro le violazioni dei diritti umani commesse dal leader ruandese, anche oggi al centro delle polemiche.
Una delle figlie del condannato, Carine Kanimba, è stata netta contro Kagame: “I giudici hanno deciso cosa il dittatore ha detto loro di decidere, ci aspettavamo esattamente questo”, ha affermato la donna, a sua volta vittima di spionaggio telefonico per mezzo di Pegasus, software sviluppato dal gruppo israeliano Nso, secondo un’indagine internazionale rivelata a luglio. Una posizione condivisa, sebbene con altri toni, dal Belgio, di cui Rusesabagina ha la cittadinanza.
“Al termine di questi procedimenti legali e nonostante i ripetuti appelli dal Belgio, occorre rilevare che il signor Rusesabagina non ha beneficiato di un processo corretto ed equo”, ha dichiarato il ministero degli Affari esteri in una nota diffusa a stretto giro dalla condanna. Provvisto anche della green card statunitense e insignito della medaglia presidenziale della libertà, lo Schindler africano per i familiari sarebbe vittima di un rapimento, con l’aereo preso a Dubai e diretto in Burundi atterrato invece nel confinante Ruanda. Kagame ha negato tutte le accuse e all’inizio di questo mese ha dichiarato che Rusesabagina è dietro le sbarre non per la sua fama, ma per le vite perse “a causa delle sue azioni”.
Fonte Ansa.it