Apre oggi al pubblico al Gaggenau DesignElementi di Roma la mostra Semi dell’artista franco-israeliana Flora Debora alla sua prima personale in Italia. La mostra curata da Sabino Maria Frassà è il secondo appuntamento del ciclo di mostre “Materiabilia” promosso da Gaggenau e CRAMUM nel 2022. “Semi” è il racconto della favola gotico-contemporanea di Flora Deborah e del suo lungo viaggio alla ricerca del senso più profondo dell’esistere; un viaggio che, come in tutte le favole, è lungo e travagliato, ma caratterizzato dall’ottimismo dell’andare avanti con infinita resilienza. Il Gaggenau DesignElementi di Roma diventa così scenario di una vera e propria esperienza performativa oltre che installativa. Come spiega il curatore Frassà “agli spettatori è chiesto di portare e donare un sasso, così da poter partecipare a quello che potrebbe essere definito come un corale viaggio di iniziazione, pensato dall’artista per la costruzione di una nuova Torre di Babele, luogo di dialogo e confronto“.
La mostra è costruita intorno a immagini sempre in bilico tra sogno e realtà, nate da un processo creativo che non prevede mai correzioni, ma che vede proprio nelle imprecisioni o nei ripensamenti del gesto artistico una metafora delle alterne vicende umane: non si torna mai indietro, non c’è gomma, ma si va avanti portando nuova materia all’interno del proprio percorso. Così nascono le opere in ceramica, terra e oro di Flora Deborah, che sublima e sintetizza lo straordinario lungo viaggio che è l’esistenza umana: tutto nella nostra vita può essere il seme di un nuovo frutto, a patto che si riesca anche dolorosamente a raggiungere una piena consapevolezza di sé.
Da una videoinstallazione in cui scava e assembla la terra del kibbutz in cui i genitori si sono incontrati, passando per i calchi della propria lingua e di quelle dei membri della sua famiglia, fino ad arrivare ai piatti e le piastrelle più recenti in cui personaggi onirici si passano delle coppe: “Flora Deborah” spiega il curatore “riflette su come non siano (solo) i luoghi a determinare chi siamo, bensì il linguaggio che impieghiamo per parlare e pensare. Può il lessico di ciascuno di noi penetrare ed essere seme e frutto dei linguaggi di chi ci vive intorno, e quali sono i confini di questo lessico famigliare?”.
Flora Deborah descrive un’umanità che nutre un nuovo universale idioma, un esperanto fatto di arte, intesa come unione di materia e bellezza, e coinvolge anche gli spettatori in questo processo attraverso una vera e propria esperienza performativa oltre che installativa. Chiunque visiti la mostra può infatti far parte dell’opera d’arte, lasciando una pietra con cui costruire una nuova Torre di Babele; un gesto che è stato anche parte di una performance dedicata presso lo showroom, in cui i partecipanti hanno infine assaporato il calco della lingua dell’artista, realizzato in cioccolato. Un vero e proprio scambio, in cui spettatore e artista si nutrono a vicenda, e da cui può nascere un nuovo lessico comune, con cui vedere e raccontare insieme un mondo nuovo. Come conclude il curatore Sabino Maria Frassà “nessuno di no sa come queste pietre che abbiamo lasciato verranno impiegate dall’artista. Come nella cultura ebraica queste pietre sono il simbolo di rispetto e pietas di fronte al passato e all’esistenza di un’altra persona. Dopo aver visitato la mostra non conosceremo quindi il finale della storia: incuriositi, stupiti e forse un po’ malinconici tutti noi spettatori-attori avremo la consapevolezza di esser parte di qualcosa di grande, della vita di un’altra persona“.