Intervistato dal Corriere della sera, Goffredo Bettini, primo e più autorevole teorico, nel Partito democratico, dell’alleanza «strutturale» con il Movimento 5 stelle, si lascia andare allo sconforto: «Va bene che tra noi non sia un matrimonio; neppure un fidanzamento. Ma non si può ridurre questo governo a una scappatella domenicale per uno svago occasionale».
L’immagine è forse anche più forte del necessario, e non voglio approfondirla, ma quando Bettini aggiunge di non essere pessimista, e di vedere quindi ampi margini di miglioramento in questo rapporto, è chiaro che ci troviamo di fronte a una maggioranza tossica, in cui le continue violenze psicologiche del partner di governo più forte sono accettate come normali o perfino rimosse dal partner più debole («Il dramma dell’Ilva è stato messo sui binari giusti», giura Bettini).
Il Pd si aggrappa, contro ogni evidenza, all’idea che i Cinque Stelle siano in realtà dei bravi ragazzi, e persino di sinistra. Immagina sempre nuovi chiarimenti, accordi, patti. Sfinisce amici e colleghi in discussioni interminabili e inutilmente contorte, che non chiariscono mai niente, perché è tutto già perfettamente chiaro, a tutti meno che al diretto interessato. E sarebbe ora che uno dei tanti, pazienti intervistatori, una buona volta, glielo dicesse: la verità è che non gli piaci abbastanza.
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