Matteo Salvini ha due grandi ostacoli per realizzare la sua internazionale sovranista: Giorgia Meloni e Santiago Abascal. Al leader della Lega non basta essere il capofila dell’ENF, l’eurogruppo sovranista che ha all’interno il Rassemblement National di Marine Le Pen, Alternative Fur Deutschland e i populisti olandesi di Geert Wilders. Perché la leader di Fratelli d’Italia con un decimo dei voti di Salvini a livello nazionale da tempo ha lavorato bene per consilidare un movimento conservatore e sovranista. E non ha intenzione di abdicare per favorire Salvini. «Noi siamo i veri sovranisti, non la Lega» ha dichiarato poche settimane fa Meloni che per cercare il suo posto al sole europeo a novembre del 2018 ha fatto entrare Fratelli d’Italia all’interno dell’Acre (formalmente il 22 febbraio 2019), l’eurogruppo dei conservatori e riformisti europei, il terzo più numeroso dopo quello dei popolari e socialisti con 77 europarlamentari provenienti da 15 Paesi.
Tra questi c’è anche PiS (diritto e giustizia), il partito che governa la Polonia dal 2015, guidato dal leader ombra Jarosław Kaczyński, che ha incontrato il 3 aprile a Varsavia Giorgia Meloni. L’uomo decisivo per il posizionamento in Europa di Fratelli d’Italia è Raffaele Fitto. L’ex presidente della Regione Puglia era entrato al Parlamento europeo nel 2014 come capolista di Forza Italia nella circoscrizione Sud, ma dopo solo un anno ruppe con Berlusconi entrando nell’Acre. A dicembre del 2018 Fitto dopo l’esperienza anodina della quarta gamba del centrodestra ha confluito il suo movimento all’interno di Fratelli d’Italia. Grazie alla sua mediazione politica in Europa è riuscito a cambiare l’immagine della Meloni tra i corridoi di Bruxelles, o meglio a farla conoscere. Il paradosso è che Fratelli d’Italia è considerato in Europa meno estremista della Lega di Salvini, anche perché dell’Ecr fanno parte anche gli inglesi del partito conservatore.
Gli ultimi sondaggi danno un testa a testa per conquistare lo scettro di eurogruppo sovranista. L’eurogruppo di Salvini avrebbe 67 seggi, quello di Meloni 62. In due settimane il leader della Lega ha recuperato 20 seggi (il 12 aprile le proiezioni davano la sua coalizione intorno ai 47) anche grazie al Rassemblement national che è aumentato nei sondaggi. Insieme i due gruppi fanno 129 seggi e non raggiungerebbero la maggioranza. Il vero ago della bilancia diventa quindi il premier ungherese Viktor Orban che ieri in un incontro con il leader dell’ultradestra austriaca (FPO) Strache a Budapest ha dichiarato che il suo partito Fidesz non sosterrà più Manfred Weber, il candidato del Partito popolare europeo alla presidenza della commissione. Come abbiamo detto nei giorni scorsi c’era stato un tentativo di avvicinamento tra i vertici del Ppe e Orban, l’attuale presidente della Commissione Jean-Claude Juncker lo aveva addirittura definito un eroe. Ma il candidato del Ppe alla Commissione Manfred Weber ha detto di non volere e non aver bisogno dei voti ungheresi. Una mossa fatta per placare il risentimento di sette partiti popolari del centro e nord Europa, tra cui belgi, finalndesi e svedesi, che avevano chiesto l’espulsione di Orban per una serie di cartelloni elettorali in cui accusava Juncker di complottare con il milionario ungherese George Soros per far entrare in Europa più migranti.
Non si sa se per eccesso di sicurezza o per forzare la mano, ma Weber ha messo in una posizione scomoda il Ppe a cui farebbe comodo avere oltre la metà dei 21 seggi dell’Ungheria per mantenere le distanze con il partito socialista e rimanere il primo eurogruppo nel Parlamento europeo. Finora ha solo 23 seggi di vantaggio, togliendo quelli di Fidesz, il PPE rischia di finire secondo. «Cercheremo un candidato appropriato» ha spiegato ieri Orban. Ma dove andranno a finire la decina di deputati di Fidesz? Salvini e Meloni si contendono da tempo lo scalpo politico di Orban. La leader di Fratelli d’Italia fu la prima a farsi un selfie con il premier ungherese nel febbraio del 2018, Salvini invece lo ha incontrato qualche giorno fa, visitando il muro anti migranti, allineandosi alla retorica anti islamista di Orbán difensore della “cristianità” dell’Ungheria: «O l’Europa si salva o diventa un califfato islamico senza speranza e senza futuro dove campano i Soros di turno». Ieri a Budapest Orbàn ha incontrato Strache che è alleato di Salvini ma la sua storia politica lo porterebbe nell’eurogruppo dei conservatori e riformisti con la Meloni. Un altro segnale è l’assenza annunciata del leader di Fidesz al raduno dei sovranisti organizzato dalla Lega il 18 maggio a Milano. «Non abbiamo ricevuto un invito per l’evento del 18 di Salvini», ha spiegato Orban. Possibile che il leader della Lega si sia scordato l’invito quando il 2 maggio è volato a Budapest?
Chiariamo una cosa: che il Ppe arrivi primo o secondo, se i sondaggi di oggi coincideranno con il risultato del 26 maggio per i sovranisti non c’è storia. Popolari, socialisti, verdi e liberali hanno i numeri per una maggioranza anti sovranista (403 e la maggioranza assoluta è a 376) e possono votare compatti il presidente della Commissione europea scelto dal Consiglio europeo, l’organo che riunisce i 27 capi di governo Ue. Nel Consiglio europeo a rappresentare Italia e Francia non ci sono Salvini e Le Pen ma Emmanuel Macron e Giuseppe Conte. E il presidente del Consiglio italiano che non ha buoni rapporti al momento con il leader della Lega potrebbe votare il candidato anti sovranista per sedersi al tavolo dei vincitori e accreditare il Movimento Cinque Stelle nella maggioranza europeista, lasciando da solo Orban nella minoranza. Fantapolitica? Non proprio viste le dichiarazioni al veleno tra M5S e Lega sul caso Siri. Al Parlamento europeo non resterebbe che votare a maggioranza assoluta il candidato scelto dal consiglio europeo.
Il secondo ostacolo sulla strada di Salvini è Santiago Abascal, il leader di Vox, il partito di estrema destra spagnolo che ha preso il 10% alle ultime elezioni. Il sovranismo di Vox è più vicino a quello di Orbán e Kaczyński e molto lontano da Lega e Rassemblement national. Nonostante i tweet di incoraggiamento ricevuti dopo il voto di domenica, Abascal non stima Salvini con cui polemizzò, proprio su Twitter, nel settembre del 2017: «Fa molto male Salvini a mostrare la sua voglia di immischiarsi nelle sovranità nazionali. Sembra Juncker. Lunga vita all’unità della Spagna!». Forse non sapeva che il leader della Lega non indossa più la maglietta “Padania is not Italy”. Senza contare che in Spagna Abascal è alleato del partito popolare spagnolo e di Ciudadanos e non è credibile che si sposti così a destra, rischiando di rovinare l’opposizione a tre teste come battezzata in Spagna. Per questo anche Abascal sembra perfetto per lo schieramento di Giorgia Meloni: debole in Italia, abile stratega in Europa.