Per i servizi sociali la pandemia ha costituito “un passaggio difficile e faticoso che ha messo a dura prova il sistema già indebolito da una lunga stagione di disinvestimenti finanziari che lo hanno spogliato di buona parte della sua capacità d’intervento sul territorio”. In particolare, durante l’emergenza sanitaria il 31,2% degli enti ha ricorso alla CIG (a fronte del 41,8% delle imprese for profit), alla riduzione dell’orario di lavoro (19,9%) e all’obbligo di ferie (10,2%), tutti strumenti finalizzati a una diminuzione temporanea del costo del lavoro. Non risulta rosea neanche la questione occupazionale: le collaborazioni e il lavoro a tempo determinato nel terzo settore hanno subito in negativo la pandemia da Covid-19: il 7,6% degli enti indica infatti di aver ridotto queste forme contrattuali, mentre l’1,3% ha licenziato personale – pratica che, in considerazione dei divieti, è presumibile sia avvenuta in forma individuale e per motivi non economici. Nonostante questo quadro negativo i servizi sociali hanno provato a reggere l’onda d’urto dell’emergenza cercando di non far venire meno la natura mutualistica e di soccorso che è propria del Terzo Settore.
È quanto emerge da un’indagine INAPP sui servizi sociali erogati dagli enti non profit presentata oggi nel corso di un webinar che ha coinvolto attori istituzionali ed esperti del settore – dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali al Forum nazionale del Terzo Settore, dalle Università al CISIS – insieme ai vertici dell’istituto. L’indagine di tipo campionario ha avuto come riferimento 63.898 enti non profit appartenenti ai settori di attività economica Istruzione e ricerca, Sanità, Assistenza sociale e Protezione civile e Sviluppo economico e coesione sociale ed ha coinvolto 9.519 soggetti.
“Le organizzazioni non profit hanno subito un duro colpo nell’anno nero della pandemia – ha spiegato il prof. Sebastiano Fadda, presidente dell’Inapp – ma nonostante questo hanno reagito e continuato ad offrire assistenza nel campo sociale, impegnandosi in progetti di sostegno ai più bisognosi. Il non profit è stato una sorta di anticorpo rispetto agli effetti nefasti del coronavirus continuando a giocare un ruolo importante nella tenuta delle relazioni sociali, costituendo un mezzo effettivo di resilienza sociale, di fronte al lockdown e al distanziamento sociale. Per questo il mondo del volontariato andrebbe valorizzato e sostenuto, come si prova a fare anche con il Pnrr perché può essere un settore fondamentale per la crescita e la ripresa del Paese”.
Nell’indagine è emerso che il vero vulnus dei servizi sociali si è registrato sul fronte economico con la diminuzione delle entrate al pari di quanto avvenuto nel mondo profit con il calo del fatturato. Se la Cassa Integrazione ha sorretto l’occupazione e il circuito della solidarietà, anche a scarto ridotto, ha agevolato l’operatività dei servizi, l’ambito economico (proventi ed entrate) è rimasto fortemente segnato: dall’inattività di alcuni segmenti (ad es. i Centri Diurni); dall’impossibilità di effettuare campagne di raccolta fondi e, non da ultimo, dall’aumento del costo medio delle prestazioni dovuto all’assenza del lavoro volontario. Una molteplicità di fonti di finanziarie, pubbliche e private, comunitarie, nazionali e locali (tra cui molti avvisi banditi a valere sui POR regionali e sul PON inclusione) si sono rese disponibili per fronteggiare le difficoltà economiche dei fornitori di servizi sociali.