Il primo al mondo a indagare la diversità della specie umana e degli organismi, e il primo a capire che le numerose differenze tra uomo e uomo a livello etnico e individuale dono dovute a variazioni genetiche scritte nel Dna.
E’ morto all’età di 96 anni il genetista Luigi Luca Cavalli-Sforza, celebre, tra l’altro, per avere gettato le basi della genetica delle popolazioni e per avere dimostrato l’infondatezza scientifica del concetto di razza umana. Nato a Genova il 25 gennaio 1922, è morto a Belluno, dove viveva. La sua carriera scientifica era cominciata in Gran Bretagna, e fin dagli anni ’50 è proseguita fra Italia, dove insegnava nell’università di Pavia, e gli Stati Uniti, nell’università di Stanford.
Dopo aver studiato a Torino alla scuola di Giuseppe Levi, come prima di lui avevano fatto Rita levi Montalcini, Salvador Luria e Renato Dulbecco, Cavalli Sforza aveva cominciato la sua carriera scientifica nell’università di Pavia con il pioniere della genetica italiana, Adriano Buzzati Traverso. Era l’epoca in cui i geni erano ancora entità da definire, comprendere e misurare e anche grazie al fascino di queste ricerche Cavalli Sforza aveva seguito Buzzati Traverso in Germania e poi nell’Istituto di Idrobiologia di Pallanza. Di Buzzati aveva inoltre sposato la nipote, Albamaria Ramazzotti.
I suoi colleghi ricordano Luigi Luca Cavalli Sforza come un uomo di grandi vedute e un ricercatore a tutto tondo, animato da un’enorme curiosità che lo aveva portato a studiare tanto la biologia quanto la statistica, discipline molto diverse che riuscì a conciliare nel suo impegno nelle ricerche sulla genetica delle popolazioni, dai primi studi condotti in Italia, sull’Appennino parmense, fino alle ricerche in Africa. Aveva approfondito queste ricerche nell’università di Stanford per oltre 20 anni ed era rientrato in Italia solo nel 1994, fermamente intenzionato, aveva detto, a lottare contro “l’inerzia e la lentezza della ricerca italiana”. Stare in Italia gli piaceva e qui intendeva portare avanti le ricerche storiche sull’origine delle popolazioni, che definiva “importanti per comprendere i meccanismi dell’evoluzione e
l’adattamento culturale”. Preso avrebbe osservato, però, che la ricerca italiana era ancora ferma ai livelli di 30 anni fa, con “poco denaro e mal distribuito”.
Aveva comunque scelto di continuare a lavorare in Italia e le sue ultime ricerche lo avevano portato ad affermare che il concetto di razza è soltanto culturale e che non è dimostrato da nessuna base genetica. Oltre al confine tra le razze Cavalli Sforza si è preoccupato di abbattere anche quello tra cultura scientifica e umanistica, facendo dialogare discipline diverse, come genetica, matematica, archeologia e linguistica, allo scopo di ricostruire il primo atlante genetico del mondo.
Una “perdita immensa”per la genetica italiana e mondiale e per tutto il mondo della ricerca: per il genetista Giuseppe Novelli, rettore dell’Università di Roma Tor Vergata, a Luigi Luca Cavalli Sforza il mondo scientifico deve moltissimo, a partire dalla “grande intuizione di aver capito che esista una genetica di popolazione, una grande disciplina che ci ha permesso di capire da dove veniamo, come ci siamo distribuiti su questo pianeta“.
Soprattutto, ha proseguito Novelli, le ricerche di Cavalli Sforza “hanno permesso di confutare la più assurda delle divisioni che gli uomini abbiano creato, quella delle razze, dimostrando che non esistono dal punto di vista biologico e che sono un’invenzione sociale”.
Di Cavalli Sforza, al quale era legato da “profonda amicizia”, il direttore del Laboratorio di Biologia dello Sviluppo dell’Università di Pavia, Carlo Alberto Redi, ha ricordato che “prima a Pavia e poi a Stanford, ha segnato generazione di studiosi”. Delle ricerche di Cavalli Sforza ricorsa quelle condotte negli anni del dopoguerra: “allora i genetisti russi cercavano di definire il gene, utilizzando l’atomo per capirne struttura biologica e stabilirne le dimensioni”. Erano queste le ricerche che Cavalli Sforza aveva iniziato ad affrontare insieme ad Adriano Buzzati Traverso. Decisivi anche i contributi dalla genetica delle popolazioni, studiata dall’Appennino parmense all’Africa. “L’aspetto importante delle sue ricerche era il travaso nel sociale: Cavalli Sforza – ha rilevato Redi – ha chiarito che migrazioni fanno parte dell’essere umano e che il concetto di razza è un’invenzione sociale”.
Per il genetista Paolo Vezzoni, del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr) e dell’istituto Humanitas di Milano, Luigi Luca Cavalli Sforza “è stato il primo al mondo a indagare la diversità della specie umana e degli organismi, e il primo a capire che le numerose differenze tra uomo e uomo a livello etnico e individuale dono dovute a variazioni genetiche scritte nel Dna”. Queste differenze, chiamate polimorfismi, Cavalli Sforza le aveva studiare prima nelle proteine e poi del Dna, utilizzandole per ricostruire la storia dell’uomo e delle migrazioni avvenute nei millenni: “le sue ricerche – ha rilevato – ci hanno dato strumenti per indagare il passato: la genetica ha aiutato l’archeologia e la storia a ricostruire il passato dell’uomo”. Uno degli studi più famosi di Cavalli Sforza, ha proseguito Vezzoni, “ha dimostrato che l’agricoltura si era diffusa dal Medio Oriente in tutta l’Europa grazie alla migrazione delle persone: la cultura emigrava perché migravano le persone”. Se oggi abbiamo grandi laboratori che studiano il genoma dei Neanderthal, ha concluso, “lo dobbiamo a Cavalli Sforza e alle ricerche che ha condotto anche in Italia, dove ha collaborato a lungo con il Cnr”.
(Ansa)