In un contesto come quello contemporaneo, afflitto da scarsità di
risorse idropotabili e cambiamenti climatici, le grotte naturali costituiscono l'accesso agli ecosistemi
carsici che, sebbene invisibili ai più, conservano elevata qualità dell’acqua e della biodiversità;
molte di queste cavità sono anche meta di turismo e sostengono le economie locali. Per
salvaguardare queste risorse ambientali così importanti per la sopravvivenza, si fa sempre più
impellente l’esigenza di effettuare monitoraggi ambientali costanti e precisi, ed è per questo che
negli ultimi anni il ruolo degli speleologi sta assumendo sempre maggiore importanza; questi
esploratori, riuscendo ad arrivare in luoghi estremi e difficilmente accessibili, supportano i
ricercatori nella raccolta di dati utili a discipline anche molto distanti tra loro, dall’idrogeologia alla
medicina, dalla biologia all’ingegneria dei grandi vuoti, passando per l’archeologia e l’astrobiologia.
Ma per ricerche e monitoraggi realmente efficaci, è necessario un approccio analitico competente
e multidisciplinare, ed è proprio di questo che si è discusso nel seminario di 3 giorni organizzato
dalla Società Speleologica Italiana sui monitoraggi degli ambienti carsici ipogei, che ha riunito in
Sardegna speleologi, scienziati, tecnici, istituzioni e operatori del settore provenienti da tutta Italia.
Nel nostro Paese sono stati istituiti numerosi Parchi e Aree Protette a connotazione carsica, e le
“grotte non ancora sfruttate a livello turistico”, che spesso contengono importanti corpi idrici
sotterranei, sono riconosciute habitat 8310 dalla Rete Natura 2000, il principale strumento della
politica dell’Unione Europea per la conservazione della biodiversità. “Il monitoraggio dei parametri
ambientali in aree carsiche presuppone l’individuazione degli indicatori corretti da rilevare, la
conoscenza e la capacità d’uso di strumenti adeguati nonché la raccolta, la gestione statistica e
l’interpretazione dei dati raccolti”, spiega lo speleologo Mauro Chiesi, direttore del seminario, “Con
questo seminario abbiamo iniziato a mettere in rete le più avanzate conoscenze della Speleologia,
in un consesso multidisciplinare che ha fatto entrare in contatto le diverse professionalità coinvolte
nelle azioni di studio e salvaguardia dei territori carsici, custodi di imperdibili risorse idropotabili e
scrigni di biodiversità”
La grotta del Bue Marino: lezioni pratiche nel più importante scrigno di biodiversità del
mondo.
La Grotta del Bue Marino è famosa a livello internazionale in quanto ultimo sito di riproduzione
conosciuto per la foca monaca in Italia; con uno sviluppo esplorato di oltre 20 km, fa parte di un
vasto e articolato sistema carsico che attualmente si estende per oltre 70 km e che ricopre un’area
complessiva di quasi 29.000 ettari tra i comuni di Baunei, Dorgali e Urzulei. Il geosito di importanza
comunitaria, è soggetto a stringenti normative nazionali ed europee. La grotta, già frequentata in
epoca neo-eneolitica (circa 4000 a.C.), da oltre 50 anni è visitata da decine di migliaia di turisti e
da speleologi provenienti da tutto il mondo.
Con l’obiettivo di valorizzare siti naturalistici strategici per lo sviluppo dei servizi al turismo, fonte
primaria dell’economia locale, l’Amministrazione Comunale di Dorgali nel 2021 ha commissionato
uno Studio di Incidenza Ambientale sul Ramo Nord della Grotta del Bue Marino, finalizzato alla
riapertura di questa sezione della cavità, onde garantire condizioni di sicurezza per la fruizione
complessiva del sito.
Prima di questo studio, nella Grotta del Bue Marino erano riportate ben 50 specie animali, di cui 28
considerate sotterranee, acquatiche o terrestri; questa analisi già poneva la cavità ai primi posti per
biodiversità sotterranea in Italia e nel mondo: le grotte con 25 o più specie sono infatti considerate
“hotspot di biodiversità” a livello mondiale (nel 2019 erano note solamente 24 di queste grotte in
tutto il mondo, di cui 16 nella zona temperata).
Durante gli ultimi monitoraggi sono state complessivamente raccolte e identificate almeno altre 21
specie, prevalentemente marine (e in piccola parte legate ad acque anchialine) che non erano mai
state rilevate prima e si aggiungono alla folta lista precedente: “Non esiste al mondo un hotspot di
biodiversità equiparabile alle grotte del Bue Marino, non pensavamo che fosse possibile un simile
risultato nell’area mediterranea, invece, dati alla mano, è al primo posto tra le grotte più ricche di
fauna e biodiversità“, ha commentato Fabio Stoch, il biospeleologo di fama internazionale che ha
partecipato a quest’ultimo studio di incidenza ambientale.
Tra gli studi sardi presentati ci sono anche quelli multidisciplinari effettuati nell’acquifero carsico del
Monte Albo grazie al supporto di biospeleologi e speleosub, e infine quello sulla vulnerabilità delle
risorse idropotabili delle sorgenti di Su Gologone, fonte di approvvigionamento idrico giornaliero di
grande qualità per una popolazione che, in taluni periodi dell’anno, supera le 10.000 persone.