Il titolo di miglior cortometraggio della sedicesima edizione del festival internazionale di cortometraggi, scelto da una giuria di esperti, se lo è aggiudicato “Khadiga”, il documentario di Morad Mostafa.
Gli spettatori in sala hanno invece scelto la pellicola siciliana “Vuoi cambiare forma mentale?”
PALERMO – Ha 16 anni ed è una giovane madre che vive da sola al Cairo con il suo bambino dopo che il marito è partito per lavoro verso una lontana città sentendo tutto il disagio verso l’ambiente che la circonda. Si chiama “Khadiga” ed è il film vincitore della sedicesima edizione di SorsiCorti, il festival internazionale di cortometraggi che quest’anno ha riempito i Cantieri Culturali. La giuria di esperti, formata da Corrado Fortuna, Mohammad Reza Moradi, Claudia Puglisi e Angelo Sigurellaha ha scelto come miglior film quello egiziano prodotto nel 2021.
La pellicola del regista Morad Mostafa in poco più di venti minuti entra nell’universo femminile dei paesi arabi. “Con pochissime parole e immagini molto più che eloquenti, Khadiga ci porta nel silenzio profondo che caratterizza l’esistenza di alcune donne che non hanno diritti, né voce o spazi – spiega la giuria – al di fuori delle famiglie tanto spesso opprimenti. Un universo in cui gli uomini quasi non appaiono e sembrano non esistere al di fuori del loro ruolo sociale in cui madri, figlie, sorelle, non riescono a guardarsi negli occhi e a dirsi la verità. Non c’è retorica e nessun tentativo di spiegare la tragicità di una scelta così drammatica come quella che compie la bravissima protagonista. Eppure, le sue emozioni ci arrivano come un pugno allo stomaco e nel suo pianto finale viviamo tutta la nostra rabbia e la sua frustrazione. Troviamo coraggiosa, in tempi come questi, la scelta di raccontare questa storia inenarrabile. Di accendere i riflettori e dar voce al dolore inascoltato di così tante donne”.
Premio come miglior documentario va invece ad “Ali and his miracle sheep” di Maythem Ridha. Il corto iracheno racconta la storia di un bimbo muto di nove anni che accompagna al sacrificio la sua pecora, Kirmeta, in un faticoso viaggio attraverso la sua terra distrutta da anni di guerra. “Ali è un film basato sulla storia di un bimbo che non parla – motiva la giuria – da quando il padre è stato ucciso e decapitato dall’Isis. Il bambino possiede una capacità interpretativa degna di nota, potrebbe benissimo essere un personaggio di un film di Pasolini. Un viaggio che diventa metafora di vita. Un film che esplora cultura e tradizione, superstizione e sacro, con una particolare attenzione al suono in ambiente e ai canti tradizionali reinterpretati da figura di una donna anziana portatrice di spiritualità, misticismo e preghiera. C’è una cura nella narrazione, nelle immagini, nella gestualità, che non lascia indifferenti”.
A vincere la miglior regia, invece, è stato il corto bielorusso di Henadzi Buto “Too big drawing”.
In appena cinque minuti il disegno si espande oltre la carta per tracciare il mondo reale. “La cosa che ci ha colpito di più di questo girato è proprio la meravigliosa capacità di sintesi che si riesce a mettere in atto in un cortometraggio – spiega stavolta la giuria – che ha degli spunti di genialità, nella sua semplicità, contestualmente a una profondità che racconta in pochi minuti la vita, un sogno, un desiderio, l’esistenza in una punta di matita, fitta di colori e di stagioni, di sorrisi e lacrime immaginarie. In poche parole, la capacità di sapere raccontare tanto con poco e senza, nella semplicità, cadere nello scontato, fino alla fine”.
Miglior corto sperimentale è “Scars”.
Prodotto nel 2020 in Canada, azione dal vivo e animazione si intrecciano in questo breve e poetico documentario, intimo e universale di Alex Anna che racconta la sua storia. Le sue cicatrici, infatti, prendono vita per raccontare una nuova storia di autolesionismo. “Scars racconta un fenomeno sempre più diffuso fra gli adolescenti – precisano dalla giuria – quello del cutting. Si tratta di una forma di autolesionismo in cui riversare il dolore nel corpo, aiuta la mente a liberarsene. Quello che ci ha colpito è la delicatezza con cui questo argomento così complesso viene trattato. Le cicatrici diventano disegni e si colorano trasfigurando non solo il dolore di chi se le infligge, ma il nostro stesso tabù riguardo la sofferenza altrui e il sangue. L’idea è sostenuta da una buona conoscenza tecnica e della scelta di usare il linguaggio della video-arte con interventi di post-produzione, in una dimensione quasi da videoclip. Ottima anche la scelta di uno spazio vuoto, asettico, in cui questo corpo esiste. Quasi a voler contrapporre l’offesa del sangue ad un atto che, immerso in un bianco irreale, invoca purezza e ci purifica”.
Il premio del pubblico resta in Italia, e più precisamente in Sicilia, grazie al corto di Areta Gambaro. Gli spettatori in sala hanno infatti applaudito “Vuoi cambiare forma mentale?”, il documentario animato prodotto nel 2021 in cui disegni realizzati a mano su fogli lucidi, sono stati colorati e modificati al computer. Il corto è stato premiato ex-equo con “Too big drawing”, già premiato come migliore regia. Miglior attore protagonista, infine è Andrea Maggiulli del film “Colonie”.