Basta un solo ‘pasto’ prelevato da fiori contaminati con un mix di pesticidi per alterare in negativo l’intero ciclo di vita di un’ape. A rivelarlo è uno studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B., coordinato da Fabio Sgolastra
Basta un solo ‘pasto’ prelevato da fiori contaminati con un mix di pesticidi per alterare in negativo l’intero ciclo di vita di un’ape solitaria. Questa singola esposizione, al termine della diapausa invernale (uno stato di arresto della crescita simile al letargo), è infatti in grado sia di ridurre la longevità dell’insetto che di ritardare lo sviluppo degli ovari, diminuendo così la sua capacità riproduttiva. A rivelarlo è uno studio pubblicato su Proceedings of the Royal Society B., coordinato da Fabio Sgolastra, ricercatore dell’Università di Bologna, svolto prevalentemente al Dipartimento di Scienze e tecnologie agro-alimentari, in collaborazione con Gloria Isani e Riccardo Cabbri del Dipartimento di Medicina Veterinaria.
UNO STUDIO COORDINATO DALL’ITALIANO FABIO SGOLASTRA
Secondo il gruppo di ricerca internazionale, gli effetti dimostrano come l’esposizione combinata a più pesticidi sia una delle cause principali della moria delle api. Un risultato che – suggeriscono gli studiosi – dovrebbe portare a ripensare il sistema di valutazione del rischio dei pesticidi: oggi, infatti, si considerano solo gli effetti prodotti da singole molecole, ma raramente si sa cosa succede quando ad agire sono due o più sostanze contemporaneamente. Tra le vittime principali della moria delle api c’è sicuramente la più nota, l’ape da miele (Apis mellifera), il cui tasso di mortalità annuale è aumentato in modo notevole nell’ultimo decennio.
MIGLIAIA LE SPECIE DI INSETTI IMPOLLINATORI SOLITARI A RISCHIO
Esistono però anche migliaia di altre specie a rischio appartenenti alla stessa superfamiglia (quella degli Apoidei), molte delle quali sono solitarie. “Così come l’ape da miele, anche le api solitarie sono fondamentali per l’impollinazione, e anche loro stanno scomparendo”, spiega Sgolastra: “Si tratta di specie particolarmente a rischio perché, non essendo organizzate in società numerose, la scomparsa di un singolo individuo comporta automaticamente la fine di un’intera linea di successione”. (Ansa)