Pubblicato il: 04/10/2019 16:52
La riforma del governo Renzi ne fissava la diminuzione da 105 a 60, con accorpamenti in tutte le regioni. Ma le Camere di commercio sono ancora oggi 82, con una ventina di Camere ‘ribelli’, da Nord a Sud del Paese, che, tra resistenze, ricorsi al Tar e atti alla Consulta, continuano a dire “no” a una riforma che considerano “sbagliata, calata dall’alto e che mette solo in crisi territori e imprese”. E chiedono subito un incontro al neo inquilino del Mise, che è il ministero competente in materia, Stefano Patuanelli, per ‘ricalibrare’ la riforma. Un incontro che seguirebbe quello avuto a luglio scorso quando le Camere ‘ribelli’ presentarono un documento, prima al Mise e poi anche a UnionCamere, per “una riforma delle Camere di commercio: più vicine al territorio, più efficienti e più economiche”.
“La scelta fatta con questa riforma è irrazionale, basata esclusivamente su un fattore numerico: le 75mila imprese per Camera, senza tenere conto dell’aspetto centrale per una Camera, e cioè l’equilibrio economico-finanziario. Così, adesso ci sono Camere che hanno i ‘numeri’, ma sono commissariate perché non hanno i bilanci in ordine”, spiega ad Adnkronos/Labitalia Franco Bosi, presidente della Camera di commercio di Pavia, 70 mila imprese, “con liquidità e patrimonio immobiliare con il miglior equilibrio in Italia”, che secondo la riforma doveva accorparsi a Mantova e Cremona. Le Camere hanno però fatto ricorso al Tar che ha rinviato gli atti alla Consulta, che potrebbe anche decidere sull’incostituzionalità della legge.
“Come Camere che abbiamo fatto ricorso -continua Bosi, presidente ‘capofila’ delle Camere ‘ribelli’- siamo sei a cui si sono aggiunte altre 12 che non hanno fatto ricorso ma non condividono comunque i punti della riforma. Una riforma che non fa risparmiare nulla, ma che fa perdere ai territori, mettendo assieme realtà produttive che non hanno nulla a che fare tra loro, con distanze chilometriche l’una dall’altra”, rimarca.
Le Camere ‘dissidenti’, quindi, chiedono “attenzione”: “Non vogliamo creare problemi a nessuno, ma rappresentiamo il 22% della Camere e chiediamo a Unioncamere di discutere insieme le nostre proposte”.
L’allarme che le Camere dissidenti lanciano è quello del rischio, con la riforma, di non riuscire più a rappresentare il proprio territorio e aiutare le imprese. “Noi siamo una delle Camere che hanno fatto ricorso: secondo quanto previsto dalla riforma -spiega ad Adnkronos/Labitalia Dino Sodini, presidente della Camera di commercio di Massa-Carrara- noi avremmo dovuto accorparci con le Camere di commercio di Lucca e di Pisa. La nostra Camera conta 27mila imprese mentre quelle di Lucca e Pisa 58mila, e quindi noi ci saremmo trovati in una nuova Camera a non avere nostri rappresentanti nell’organismo. In pratica, il nostro territorio non sarebbe stato rappresentato. Questa è una modalità che va bene per una società per azioni, non per un ente pubblico”, sottolinea.
“Nell’ultimo incontro che abbiamo avuto al Mise a luglio scorso con l’allora viceministro Galli -continua Sodini- quest’ultimo ci fece delle aperture facendoci intendere che se le Camere non diventano 60 e restavano 80 o giù di li per lui non cambiava più di tanto. E quindi eravamo fiduciosi del percorso aperto al Mise e della possibilità di rimodulare questa riforma”.
Per Sodini, “questa è una riforma caduta dall’alto, non ci sono criteri scelti per gli accorpamenti, sono stati fatti a caso”. E’ quindi una riforma sbagliata, fatta giusto per dire – avverte – ‘Abbiamo fatto la riforma delle Camere’. Ma togliendo alle Camere la possibilità di fare promozione, tagliando il contributo del 50%, allora era meglio proprio chiuderle, invece di fare questa riforma. L’unica cosa che si è realizzato con questa riforma è stato rendere ancora più forti le Camere già grandi, cancellando i territori più piccoli”, aggiunge.
“Ma noi non ci arrendiamo: siamo pronti -conclude Sodini- a chiedere subito un incontro al nuovo ministro e io faccio questo appello a Patuanelli: rendiamo facoltativi gli accorpamenti. Non siamo contrari ad essi ma chiediamo che ci sia logicità, che non siano innaturali. In questo caso, si potrà fare qualcosa di positivo per le Camere, per chi ci lavora e anche per le imprese. Altrimenti, non servirà a nulla”.
Da Nord a Sud i motivi del “no” alla riforma non cambiano, come spiega ad Adnkronos/Labitalia Sebastiano Caffo, presidente della Camera di commercio di Vibo. “Per noi e per le nostre imprese l’accorpamento con Catanzaro e Crotone rappresenterebbe un salto indietro di 25 anni, quando con l’istituzione della Provincia di Vibo facemmo di tutto per portare gli uffici della Camera sul territorio, visto che quelli di Catanzaro distano dalle nostre aziende in media un centinaio di chilometri. La nostra Camera di commercio si auto-sostiene nonostante i tagli, non pesa su nessuno e porta benefici a un territorio che a livello economico è l’ultimo d’Italia ma presenta delle eccellenze nel turismo e nell’agroalimentare”, sottolinea Caffo.
E anche in questo caso, dice Caffo, che è a capo dell’omonimo gruppo industriale che produce tra gli altri il Vecchio Amaro del Capo, non si è tenuto conto dell’equilibrio economico-finanziario. “Con la fusione la liquidità presente nel nostro bilancio, il nostro patrimonio immobiliare ristrutturato a nostre spese andrebbe ‘in pancia’ al nuovo ente, senza le stesse ricadute economiche che garantiamo noi sul territorio. Noi oggi abbiamo un incontro con tutti i sindaci del Vibonese per creare un distretto turistico sul territorio, e tanto altro vogliamo fare”.
C’è chi invece la riforma l’aveva avviata ancora prima della legge del governo Renzi e ha raggiunto buoni risultati, come spiega ad Adnkronos/Labitalia Riccardo Breda, presidente di Unioncamere Toscana e della Camera di commercio Maremma e Tirreno. “Come Camera di commercio Maremma e Tirreno -sottolinea Breda- ci siamo uniti nel 2016, prima della riforma. Per esperienza personale, posso dire, che dopo un periodo iniziale di adattamento, che non è stato semplice visto che si devono mettere insieme due strutture, adesso le cose vanno. Lavoriamo bene, riusciamo a dare supporto alle imprese in egual modo su entrambi i territori”.
“I tagli? Siamo riusciti comunque -sottolinea- a garantire i servizi alle aziende. E anche sul versante dei dipendenti non ci sono stati particolari problemi. Siamo passati da 97-98 dipendenti a 80, ma per via di richieste di distacco presso altri enti da parte dei dipendenti stessi o anche per casi di pensionamento. E con i pensionamenti che ci saranno quest’anno ci sarà lo sblocco delle assunzioni che ci permetterà di inserire tanti giovani che ci potranno essere utili sui progetti di digitalizzazione che portiamo avanti”, conclude.
Adnkronos.