Ricominciare dalle definizioni non fa mai male. E dunque: Young Adult. E’ stata ribattezzata così la letteratura dedicata ai giovanissimi, in particolare agli adolescenti. Ne fanno parte, per esempio, le storie della saga di Hunger Games, Ready Player One di Ernst Cline da cui Spielberg ha tratto il suo fortunato film, i libri di Jennifer Niven e Aidan Chambers. Kevin Brooks è uno dei “campioni” del genere Young Adult. Vincitore della Carnegie Medal, il più prestigioso riconoscimento britannico per la narrativa per ragazzi, e di una serie di altri premi, e autore di storie ironiche, provocatorie e distopiche (come Bunker Diary su un crudele esperimento su adulti e adolescenti costretti in una sorta di lager o l’acclamato L’estate del coniglio nero), Brooks è stato l’ospite speciale della prima edizione del festival letterario dei ragazzi Maremé, in cartellone a Siniscola e dintorni, in Sardegna. Di giovani e della narrazione che se ne fa abbiamo parlato con l’autore inglese.
Una generazione di adolescenti che spesso dicono di sentirsi come prigionieri, sconfitti a priori. Descritti da tanto giornalismo e saggistica come tendenti facilmente alla depressione e alla rinuncia. Leggere questo genere di “ritratto” mi ha ricordato il tuo libro Bunker Diary, in cui immagini la lotta per la sopravvivenza e la ribellione di quattro adulti e due adolescenti costretti in una sorta di lager-esperimento. Sei d’accordo con la descrizione dei nostri giovani o la trovi piena di luoghi comuni?
“Non saprei, ci andrei cauto. Ci sono ovviamente problemi per i ragazzini, ma ci sono sempre stati problemi per i giovanissimi di qualunque generazione. Anche se le criticità e le sfide che affrontano oggi sono diverse da quelle che si trovava di fronte chi è stato giovane prima di loro. E’ molto difficile essere netti e obiettivi, personalmente non riesco a dire se i problemi dei giovani d’oggi siano gli stessi o più gravi di quelli di ieri”.
Puoi spiegarci cosa rende speciale scrivere letteratura per adolescenti? C’è bisogno di tecniche di narrazione particolari e di un approccio diverso dal solito, o alla fine si tratta “solo” di raccontare belle storie?
“Ciò che è speciale è che quando sei un teenager ‘senti’ ogni cosa attorno a te, e dentro di te, con una intensità enorme. Tutto sembra dirti qualcosa, e questo tipo di intensità gradualmente scompare man mano che diventi adulto. Ecco cosa rende meraviglioso scrivere storie su quella stagione della vita”.
Ragazzini e tecnologia. Un amore speciale che sta producendo una sorta di ibrido speciale che dorme con noi, si sveglia con noi, va a scuola, ci cammina attorno. Nel tuo libro iBoy racconti la storia di un adolescente che ha uno smartphone finito a pezzi dentro il suo cervello. Questo produce una sorta di realtà personale aumentata e gli dà facoltà e poteri speciali che dovrà decidere come impiegare. Pensi che la tecnologia stia plasmando una nuova specie umana a partire proprio dai teenager?
“Non credo che le nuove tecnologie abbiano ancora raggiunto questo tipo livello di rivoluzione. Molta della roba tecnologica in circolazione alla fine dà accesso a modi diversi, più veloci, di fare le cose che facevamo prima. Per esempio, quando io ero un teenager e volevo comprare il mio disco preferito, dovevo prendere un bus, andare in città, entrare in un negozio di vinili o cd, comprare quel che cercavo, tornare a casa in bus, salire le scale fino alla mia camera e finalmente godermi il disco. Ora posso fare tutto questo in qualche secondo senza andare da nessuna parte. Ma la musica che ascolto è sempre la stessa. Oggi è soprattutto una questione di come tutto si è velocizzato. Penso però che il momento in cui per effetto della tecnologia i fondamenti della vita (e delle possibili forme di morte) cominceranno a modificarsi non si tanto lontano da noi”.
Puoi dirci a cosa stai lavorando ora? Un nuovo libro, un saggio, una storia per la tv (su Netflix il film Naked è tratto da un suo racconto, ndr)?
“Ora sto lavorando a un nuovo romanzo Young Adult. Quando avrò finito, beh, chi può dirlo? C’è un milione di cose che vorrei fare, ma come cantano gli Stones: ‘Non puoi sempre avere quel che vorresti'”.