Pubblicato il: 08/06/2020 15:52
“Credo che la fase 3 sia solo una delle tanti fasi che ci attendono. Per affrontare questi mesi di incertezza e di definizione del mondo del lavoro che verrà abbiamo bisogno di fare una riflessione seria già adesso, a livello individuale e collettivo. È questo il lavoro che ci piace? È il modo di lavorare che vorrei? Che valore ha per me il lavoro? Mi ritrovo nei comportamenti dei miei capi o mi sento a disagio? Abbiamo una grande opportunità di disegnare insieme il futuro del lavoro, ma per farlo serve prima una forte consapevolezza”. Lo dice, in un’intervista all’Adnkronos/Labitalia Silvia Zanella, head of employer branding and hr communications per una grande società di consulenza, e autrice del libro ‘Il futuro del lavoro è femmina. Come lavoreremo domani’, in uscita il prossimo 24 giugno (Passaggi Bompiani).
“Il futuro del lavoro – afferma – è femmina essenzialmente per tre ragioni. La prima riguarda le competenze. Quelle tecniche, verticali, vengono sempre più date per scontate, e sono in qualche modo essenziali per svolgere una determinata mansione”. “E’ anche vero però – sottolinea – che queste conoscenze invecchiano rapidamente e, una alla volta, col passare del tempo, sono anche le più facili da sostituire attraverso l’automazione e l’intelligenza artificiale. Le competenze propriamente umane invece, le cosiddette soft skills, fra cui la comunicazione, la cura, l’ascolto, la capacità di relazione, sono assai meno replicabili da una macchina e molto più tipiche di un approccio al lavoro ‘al femminile'”.
“La seconda motivazione – spiega – ha a che fare con i modi di lavorare. Ovvero, come si gestiscono i tempi e gli spazi del lavoro, come si percepiscono i colleghi e la propria identità professionale, come si cerca un impiego e come si guida un team o un’organizzazione. Il modello novecentesco del command and control, basato sull’accentramento delle informazioni, sulla pura esecuzione, su gerarchie rigide rischia di rispondere meno efficacemente a un mercato globalizzato e complesso. Anche qui, un approccio votato all’inclusione e alla diversità, all’accoglienza e alla comprensione, alla cura e all’empatia, all’attenzione all’ecosistema, può risultare più completo nell’affrontare le sfide del business”.
Da ultimo, “il futuro del lavoro è femmina perché serve iniziare una narrazione del lavoro che non consideri esclusivamente gli scenari macro e racconti distopie tecnologiche, ma che contempli invece chiavi di lettura più micro, su come il futuro impatta sulla vita delle persone”. “Il futuro del lavoro – sostiene – è femmina, ma non è assolutamente una questione di genere, appartiene tanto agli uomini quanto alle donne, disponibili ad accogliere il cambiamento in atto con le risorse più efficaci”.
Per Silvia Zanella cosa significa imparare a fare vero smart working? “Partiamo dal presupposto – avverte -che fare smart working significa gestire in autonomia una serie di variabili: scegliere il luogo dove lavorare, il quando e il come. In quarantena non è certo stato possibile fare queste scelte”. “Fare vero smart working – chiarisce – significa impostare in maniera completamente diversa la relazione con la propria azienda. Significa avere capi che si fidano, che delegano, che pongono obiettivi in maniera sensata, che non fanno micro-management, che valutano i dipendenti per l’output effettivo del lavoro svolto”.
Di rimando, “significa essere lavoratori responsabilizzati, che sanno lavorare per obiettivi e auto-organizzarsi, che hanno chiaro quello che devono fare e in quali tempi portare a termine un’attività. Per fare vero smart working servono fiducia, coerenza, accountability, e tanta comunicazione, formale e non. Abbiamo visto durante il lockdown quanto fossero importanti i momenti di ascolto e fare il punto assieme al proprio team”.
Adnkronos.