Ha inviato oltre 50 mila sms “dal contenuto ingiurioso, minaccioso e a sfondo sessuale” a una ragazza minorenne, minacciandola di “rendere pubbliche tramite internet” alcune fotografie che la ritraevano nuda. Per questo, un 60enne originario di Verona dovrà scontare la condanna a 2 anni inflittagli con rito abbreviato dal gip della città scaligera e confermata sia dalla Corte d’appello di Venezia sia dalla Cassazione.
L’uomo è stato ritenuto responsabile del reato di stalking, perché aveva provocato nella ragazza “un profondo stato di ansia e di timore per l’incolumità, anche della sorella minore”, fatto che aveva indotto la vittima a “cambiare abitudini di vita”. L’imputato aveva presentato ricorso in Cassazione, nel quale si era difeso sostenendo di non essersi “approfittato” della giovane, la quale “aveva inviato numerose immagini che la ritraevano nuda senza alcuna costrizione”. La minorenne, a suo dire, non aveva raccontato nulla ai genitori “per paura di confessare il proprio comportamento” e aveva “proseguito la quotidianità di sempre”, senza alcun “grave e perdurante stato di ansia e di paura”.
La Suprema Corte, con una sentenza depositata oggi dalla quinta sezione penale, ha dichiarato inammissibile il ricorso dell’uomo e reso così definitiva la sua condanna: “La condotta integrante il reato contestato non è l’invio consapevole e volontario da parte della persona offesa minorenne di fotografie che la ritraevano nuda – si legge nella sentenza – bensì la condotta tenuta successivamente alla manifestazione dell’intenzione della giovane di interrompere il rapporto di amicizia telefonica instaurato e, di conseguenza, l’invio della fotografie: condotta scandita da molestie e dalla reiterata minaccia di rendere pubbliche le immagini che la ritraevano nuda, qualora la minore non avesse continuato ad inviargliele”.
La ragazza, dunque, hanno ricostruito i giudici, “era stata costretta a cambiare l’utenza telefonica e a evitare di uscire di casa se non accompagnata da familiari”, in considerazione delle “reiterate minacce, anche di morte, proferite dall’imputato”. I giudici di legittimità, infine, hanno ribadito come, per ritenere integrato il reato di stalking, non serva “l’accertamento di uno stato patologico” ma “è sufficiente che gli atti ritenuti persecutori abbiano un effetto destabilizzante della serenità e dell’equilibrio psicologico della vittima”.
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