Sembra quasi un “Ritorno al futuro”, la DeLorean che “sbarca” nel Far West in uno dei film della trilogia del regista Robert Zemeckis. Eppure, la storia ci rammenta – con stupore sicuramente – che i primi veicoli a motore non furono quelli alimentati a benzina, ma ad elettricità. E che, stante le conoscenze tecnologiche dell’epoca, avevano caratteristiche all’avanguardia. Pochi sanno che nei primi anni del ‘900, negli Stati Uniti, il 38% dei veicoli in circolazione erano elettrici e che tutti i taxi di New York, all’epoca, erano a batteria. Così come pochi sanno che l’Italia ebbe un ruolo importante nello sviluppo dei veicoli elettrici, con una serie di modelli che furono anche inseriti nelle “scuderie” dei Reali e che avevano più diffusione delle vetture a benzina. Una vettura elettrica era in uso, ad esempio, per la regina Elena ed alti prelati del Vaticano. (Quest’ultimo fatto fu celebrato nel 1903 da una copertina della “Domenica del Corriere” durante la visita pastorale a Trezzo dell’arcivescovo di Milano, Andrea Carlo Ferrari, a bordo di un’auto elettrica). Lo stesso Gabriele D’Annunzio fu protagonista a Firenze, nella notte del 13 giugno 1907, di un serio incidente insieme al conte Larderel e le figlie. Rischiò infatti di finire in Arno a piazzale della Regina per la rottura dello sterzo dell’auto elettrica del conte Strozzi.


A decretare la fine delle auto elettriche, agli inizi del ‘900, fu l’arrivo in Usa dell’ormai mitica Ford T, ma soprattutto dal fatto che i prezzi dei carburanti fossili erano fortemente competitivi. Inoltre, per le auto elettriche, c’era il gran problema della ricarica – cosa che tuttora ha bisogno ancora di ulteriori sviluppi – e dell’autonomia, pur ragguardevole per l’epoca: 80-120 chilometri. Infine, le auto elettriche avevano una velocità nettamente inferiore a quelle a benzina: in Usa riuscivano ad andare al massimo a 32 Km/h.
Resta il fatto che i primi prototipi di carrozze elettriche con motori sperimentali risalgono agli inizi della seconda metà dell’Ottocento, circa trent’anni prima rispetto alle prime auto a benzina, costruite nel 1886 per mano di Daimler & Benz. L’invenzione dell’automobile elettrica – per la verità poco più che una carrozza a motore – era precedente di una decina di anni per mano di Charles Jeauntaud a Parigi. Le auto elettriche a cavallo tra i due secoli furono utilizzate come omnibus per alberghi (a Roma, Come, Varese e in altre città), come taxi e come mezzi commerciali.


Come detto, autoveicoli elettrici furono sviluppati anche in Italia. La Turrinelli costruiva a Sesto San Giovanni (Milano) veicoli industriali e taxi elettrici. E ad Alpignano, nei primi anni del secolo scorso, si producevano auto elettriche sotto il marchio di “Società Industriale Italana Dora”, con la sede a Genova. Fondata nel 1886 da Alessandro Cruto (inventore della lampadina ad incandescenza) la fabbrica produsse diversi veicoli elettrici e le pubblicità dell’epoca ne spiegavano i particolari: “Vettura ideale per città e per le dame”. Le autovetture elettriche utilizzavano batterie speciali ad alta capacità, le stesse montate anche su modelli di camion e addirittura sui primi tram ad elettricità. Era declamata come “la vettura più economica”. In generale, ogni ricarica costava tre lire e garantiva un’autonomia di questi veicoli di circa 80 chilometri. La prima vettura elettrica di cui si ha notizia in Italia mosse però le ruote a Castelnuovo Garfagnana, in Toscana. A realizzarla tra il 1890 e il 1891 l’ingegner Francesco Boggio per volontà del conte Giuseppe Carli.


I veicoli elettrici a batteria nel corso dei primi anni del Novecento e per un certo tempo, si vendettero di più rispetto ai veicoli a combustione. La motivazione più diffusa era che i veicoli elettrici producevano meno rumore delle vetture con motore a scoppio. A far trionfare poi le autovetture a benzina furono i limiti tecnologici dei veicoli elettrici, che presentavano problemi sia di carica delle batterie, sia di regolazione della trazione. Le prestazioni e il comfort dei veicoli a benzina arrivarono rapidamente a un livello tale da far scendere le autovetture elettriche nella graduatoria delle preferenze degli allora acquirenti ad una scelta di nicchia. Si calcola che, alla fine, su scala mondiale furono soltanto 30 mila i veicoli in circolazione che adottavano il sistema delle batterie.
Ma certi record dell’epoca furono celebrati in maniera esaltante. Come quello del marchese Raffaele Cappelli, membro del Parlamento del Regno d’Italia, che nel 1907 condusse una prova della sua “Ausonia” lungo impervi percorsi intorno alla Capitale, con 6 persone a bordo. Grottaferrata, Marino, Albano, lungo quella che poi fu chiamata “la strada dei laghi”, percorse 62 chilometri in tutto. In una lettera al Corriere della Sera, il marchese Cappelli esaltò il risultato ottenuto affermando che non riteneva possibile avere una tale performance. Invece percorse 22 chilometri in più di quanto era stato promesso nel contratto di produzione del suo veicolo.


Auto elettriche, quindi, ben più di 110 anni fa. Ma c’è un altro mito che la storia dell’automobilismo “green” sfata ed è quello dei veicoli “ibridi”, cioè di quelle vetture che integrano un motore tradizionale che ricarica le batterie per la trazione elettrica e che già esistevano agli inizi del 1900. “Semper Vivus”, un’autovettura che aveva motori a benzina alimentanti un gruppo elettrogeno, il quale a sua volta produceva corrente elettrica per dei propulsori collegati alle ruote, venne alla luce nei primi anni del ‘900 ad opera di Ferdinand Porsche (che – va detto – aveva lanciato la prima vettura elettrica a quattro ruote motrici all’Esposizione Mondiale di Parigi del 1900): così la prima full Hybrid della storia nacque nel 1901. Nel periodo tra il 1900 il 1905 Porsche riuscì a vendere solo 11 automobili ibride. Il prezzo di vendita della Lohner-Porsche “Mixte” – evoluzione commerciale della Semper Vivus – era a seconda della carrozzeria e dell’allestimento tra 14.400 e 34.028 corone, il doppio delle vetture con motore a combustione. Un’altra produzione di auto “ibride” era alle Officine Stigler di Milano. La “Società torinese automobili elettrici”, nell’estate del 1907 presentò la sua Laudalet (auto decappottabile di lusso) su licenza della francese Kriéger (il motore termico alimentava le batterie, come la Porsche). Fonte www.repubblica.it